La situazione socioeconomica attuale
è per molti versi problematica e preoccupante, così come del resto lo sono
state altre fasi della storia recente e passata, in un continuo flusso
sinusoidale di crescita e decrescita rappresentato puntualmente e parallelamente
dalla letteratura, dalla pittura, dall’architettura, dalla musica, da ogni forma
di arte. Il secondo dopoguerra ha visto trasporre i caratteri della società del
tempo nella stagione neorealista, espressione esemplare di quegli anni; in
architettura in particolare gli edifici manifestavano apertamente e senza
infingimenti la propria struttura e i propri elementi accessori, secondo un
linguaggio difficilmente apprezzabile oggi ma, coerentemente col concetto di kunstwollen espresso da Alois Riegl,
assolutamente e inevitabilmente legato all’estetica di quel periodo. Gli stessi
anni in cui l’Italia rinuncia all’industrializzazione edilizia in modo
specifico per privilegiare un’edilizia dal sapore artigianale, in grado di
occupare il maggior numero possibile di operai non qualificati né specializzati
e di rispondere al dirompente problema della casa per tutti con toni domestici familiari e concilianti, affatto
eversivi o sperimentali. Non è un caso che la Legge Fanfani1 emanata
nel 1949 – su iniziativa del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, e
non delle Infrastrutture o dei Lavori Pubblici - abbia assunto l’edilizia come
volano economico per rilanciare un Paese uscito rovinosamente dalla guerra. E
pur con tutti i limiti – e le lucide autocritiche (si pensi al Paese dei barocchi2 di
Ludovico Quaroni a proposito del quartiere-manifesto del neorealismo, il Tiburtino
a Roma) – quella stagione è stata caratterizzata da un consapevole
professionismo tanto nella pratica progettuale quanto in quella costruttiva. Sono
nate così le borgate, le stesse in cui non molti anni dopo passavano le proprie
giornate i ragazzi di vita di
Pasolini, le stesse in cui si cercava un riscatto dopo la disastrosa guerra. Dopo
il boom – il piano INA-Casa è durato quattordici anni – è arrivata la grande
crisi energetica, oltre che sociale, degli anni ’70 e in questo caso la
reazione in architettura è stata di segno opposto: dalla realtà all’utopia. I
movimenti radicali hanno
costantemente ricercato (o immaginato?) scene fisse ben diverse da quelle delle
città per società altrettanto diverse da quella cui appartenevano, e proprio
Roma è stata campo privilegiato – grazie soprattutto alla guida illuminata di
Giulio Carlo Argan – per le evasioni nell’effimero dell’estate romana3, brillante intuizione di Renato Nicolini,
all’epoca giovanissimo assessore alla cultura. La stessa città per parti, reduce seppure con distinzioni e spesso con
personali declinazioni degli studi sui fenomeni urbani e sui rapporti fra
tipologia edilizia e morfologia urbana di stampo muratoriano, ha prodotto
episodi architettonici altamente significativi di quegli anni. In questo caso,
risolti i problemi del dopoguerra, ci si è indirizzati verso un doppio binario
parallelo di sperimentazione: da un lato la produzione edilizia e il relativo
comparto, con studi molto spinti su sistemi prefabbricati e industrializzati
(si pensi all’apporto di Enrico Mandolesi, Achille Petrignani, Marcello
Grisotti, Giuseppe Ciribini solo per citarne alcuni), dall’altro la ricerca
architettonica che, come raramente prima di allora, trovava puntuale riscontro
nelle architetture realizzate (il Gallaratese di Aymonino e Rossi che si
innesta nella periferia milanese, il Casilino di Quaroni che sembra galleggiare
nella periferia romana come un frammento residuo del Campo Marzio piranesiano,
il sistema di edifici-ponte del Laurentino di Barucci, il Corviale di
Fiorentino – emblematico per il nostro discorso -, il Forte Quezzi di Daneri
che serpeggia sul crinale genovese, Rozzol Melara di Celli e Tognon che si
impone con un netto fuori scala sul contesto triestino, Tor Sapienza di Gatti
che ancora una volta guarda al lato orientale di Roma già oggetto degli studi
sul SDO, lo Zen di Gregotti che allude alla pratica della centuriazione romana
per la periferia di Palermo, le tanto vituperate vele di Scampia di Franz Di
Salvo che ricercano nuovi modi dell’abitare in una città nella quale il solo
sforzo di un’alternativa sarebbe da apprezzare e non da condannare, a
prescindere dagli esiti le cui responsabilità non possono cadere esclusivamente
sui progetti in molti casi non portati a termine così come previsto o
letteralmente incompiuti). Riassumendo, due forti stagioni di crisi con due
risposte diametralmente opposte ma ugualmente dense di apporti teorici ed esiti
concreti. Quale sarà dunque la risposta dell’architettura alla crisi attuale?
Cosa farà seguito a questa stagione di forte autoreferenzialità e design
ingigantito, ben distante da pianificazioni di ampio respiro? Chissà se
passeremo dal neorealismo – ormai ridotto a pallido ricordo – a un nuovo realismo4 in grado di farci tornare a riflettere sul senso profondo delle cose al di là
della loro apparenza. Fino ad allora si assiste a una recente attenzione per la
tipologia del grattacielo (a partire dall’hinterland veneto e lombardo per
arrivare all’agro romano, con tanto di costituzione della “commissione
grattacieli” nella capitale), della quale è francamente poco condivisibile l’opzione
dato l’altissimo tasso di edifici/alloggi disponibili e la cui logica
insediativa appare tutt’altro che coerente con i tessuti edificati delle nostre
città; si tratta di una tipologia che su un suolo limitato permette di
massimizzare il capitale e di immobilizzarlo in un periodo di forte
deprezzamento del capitale finanziario stesso. C’è pertanto da sperare che non
si ripeta il boom dei grattacieli della Scuola di Chicago che nel 1929 ha
preceduto di pochissimo la più grossa bolla economica del XX secolo.
1. Legge 28 febbraio 1949, n. 43 - "Provvedimenti per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori". La bibliografia sulle ripercussioni architettoniche del piano INA-Casa è sterminata; si segnalano per completezza e rilevanza i testi I 14 anni del piano INAcasa a cura di Luigi Beretta Anguissola, edito da Staderini nel 1963 e riedito da Edilstampa nel 2008, e La grande ricostruzione: il piano INA-Casa e l'Italia degli anni Cinquanta a cura di Paola Di Biagi, edito da Donzelli nel 2001 e recentemente ripubblicato in una versione più economica.
2. Ludovico Quaroni, Il paese dei barocchi, in Casabella-Continuità n. 215 del 1957, ora in Casabella n. 539 del 1987.
3. Anche sull'estate romana vi è una vastissima bibliografia nella quale spicca il saggio Estate romana 1976-85: un effimero lungo nove anni, scritto da Renato Nicolini nel 1991 per i tipi di Sisifo e ripubblicato nel 2011 con una nuova introduzione da Città del Sole Edizioni. Si segnala inoltre la bella puntata de La storia siamo noi: Meraviglioso urbano. Trent'anni di Estate Romana.
4. Si veda al riguardo Maurizio Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, 2012.
Nessun commento:
Posta un commento